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Che cos’è il Favismo?

by admin

Nell’antichità, il favismo era collegato a fattori esoterici e spirituali poiché le fave erano considerate simbolo di impurità e decomposizione quindi connesse al mondo dei morti.
Già nel V secolo a.C., Pitagora dichiarò che le fave potevano essere pericolose e addirittura letali per gli esseri umani.

Il favismo è trasmesso ereditariamente con il cromosoma X: per questo motivo i maschi sono maggiormente colpiti rispetto alle femmine, che in genere sono portatrici sane.
Nei soggetti affetti da favismo si ha un deficit di un enzima del metabolismo del glucosio, il (G6PD) glucosio-6-fosfato deidrogenasi: la carenza dell’enzima può comportare gravi conseguenze a livello degli eritrociti (globuli rossi) ovvero massicce distruzioni di globuli rossi con conseguente anemia, poiché il G6DP risulta essenziale per il corretto funzionamento e la sopravvivenza degli stessi.

La carenza dell’enzima G6DP rappresenta una tra le più frequenti carenze enzimatiche mondiali, considerando che colpisce circa 400 milioni di soggetti: il 20% delle persone affette è di razza africana, nonostante sia molto diffusa anche in Grecia, Asia e in Italia (soprattutto in Sardegna).

La diagnosi attenta e scrupolosa della malattia è essenziale prima di adottare qualsiasi trattamento: il test diagnostico ricerca l’enzima G6PD all’interno degli eritrociti, evidenziando anche le carenze più lievi.
Esistono varie forme di favismo e, in base alla gravità, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) distingue cinque livelli:
Classe I: deficit grave con attività enzimatica <10%, è la forma più grave con anemia emolitica cronica, ittero e insufficienza renale
Classe II: deficit grave con attività enzimatica >10%
Classe III: deficit lieve con attività enzimatica tra il 10 e il 60%.
Le classi II e III si manifestano con crisi emolitiche intermittenti ed autolimitanti, soprattutto dopo esposizione a sostanze ossidanti.
Classe IV e V: nessun deficit nessun disturbo rilevante.
Le classi IV e V non danno alcun sintomo.
Ecco perché la maggioranza dei casi di favismo resta asintomatico e ci sono diverse persone che dopo aver trascorso la vita a mangiare fave, hanno scoperto in tarda età di avere un deficit di G6PD.

Questa patologia comporta l’assoluta necessità di evitare l’assunzione di fave, piselli e verbena; farmaci come alcuni antinfiammatori, antibiotici, antimalarici e sostanze particolari come vitamina c e k, naftalina.
Inoltre, l’anemia emolitica potrebbe manifestarsi non solo in seguito all’assunzione delle sostanze vietate in questa malattia, ma anche come conseguenza di polmonite, epatite virale, malaria e chetoacidosi diabetica.
Ecco perché il termine “favismo” risulta improprio, poiché in alcuni soggetti, fabici, la reazione clinica emolitica si può manifestare anche indipendentemente dal consumo di fave.

Purtroppo, le possibili varianti della malattia delle fave sono così tante, e le ricerche così poco approfondite, che si registra ancora un’evidente preoccupazione sui possibili alimenti, farmaci e sostanze veramente pericolose per i soggetti fabici: in taluni casi, sembra quasi che solamente le fave siano realmente implicate.
La carenza di questo enzima può scatenare vere e proprie “crisi emolitiche”.
Il soggetto, fabico, affetto da favismo, dopo 12-48 ore dall’ingestione di fave o esposizione ad altri scatenanti, manifesta una carnagione giallastra che talvolta tende al verde, le sclere oculari appaiono color giallo intenso, le urine scure, può comparire febbre e dolore addominale.

Se il favismo si manifesta in forma grave si ha anemia emolitica acuta e insufficienza renale acuta.
In caso di emolisi acuta può rendersi necessario il ricorso a trasfusioni di sangue ed eventualmente a dialisi se il paziente presenta insufficienza renale acuta.
La trasfusione si rivela un’importante misura sintomatica, dal momento che gli eritrociti trasfusi non sono di norma G6PD carenti e sopravvivono nel circolo del ricevente per un periodo di tempo di 120 giorni circa.

Alcuni pazienti possono trarre beneficio dalla rimozione chirurgica della milza, essendo quest’ultima un importante sito di distruzione degli eritrociti.
Somministrazioni di acido folico si rivelano efficaci per trattare il turnover eritrocitario particolarmente elevato.

L’unica cura è la prevenzione: i soggetti affetti devono astenersi scrupolosamente dall’assunzione e dall’ esposizione alle sostanze scatenanti.

La sostanza scatenante implicata contenuta nelle fave che scatena la crisi sembra che sia la vicina.
La quantità di vicina e convicina nelle fave varia da coltivazione a coltivazione; inoltre, quelle più ricche di queste sostanze sono quelle più piccole e giovani, soprattutto se mangiate crude.

L’insorgere e il decorso di crisi emolitiche è molto dose-dipendente: con una dose alta, l’anemia è più grave, mentre con una dose molto bassa può passare inosservata.
Quindi, l’assaggio di una sola fava non è rischioso come quello di un piatto intero.

La crisi emolitica da fave (così come quella da farmaci) è fortemente dose-dipendente, non avviene necessariamente dopo ogni ingestione. La sua gravità dipende fortemente dalla quantità di fave ingerite (in rapporto al peso corporeo). Questo è uno dei motivi per cui le crisi si manifestano soprattutto nei bambini, ancora importante è che durante l’allattamento la madre di un neonato con enzimopenia non mangi fave perché il lattante potrebbe andare incontro a crisi emolitica.

Il polline delle piante di fave sembra che non causi crisi emolitiche.
Infatti, fino al 2008 la normativa prevedeva la possibilità di richiedere un’ordinanza comunale che vietasse la coltivazione di fave nel raggio di 300-500 metri dall’abitazione di un soggetto affetto.
Nel 2008 una nota del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali relega invece ai Sindaci la facoltà di emettere o meno l’ordinanza restrittiva, in quanto dichiara che non esistono prove sufficienti che correlano le crisi emolitiche con l’inalazione di polline di fave poiché le sostanze contenute che sono responsabili della sintomatologia, non sono presenti nei fiori.

Una ricerca condotta dall’Università di Sassari è riuscita a dimostrare che molti sardi ultracentenari hanno in comune la mancanza dell’enzima G6PD.

Il favismo consente di condurre una vita perfettamente normale evitando, però, i fattori scatenanti.

Dr. Francesco Di Lorenzo
Coordinatore Sanitario
francescodl1979@gmail.com

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