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In passato, come già vissuto nella prima guerra mondiale, il filo della corrispondenza ha unito il fronte e gli affetti; la corrispondenza postale tenne vicina l’Italia in furgone, in mulo e persino in slitta. Due miliardi e mezzo di cartoline attraversarono il Paese dai soldati alle famiglie. Ora, è impensabile credere che ai tempi odierni, con l’attuale crisi che stiamo vivendo, possa accadere lo stesso vista la digitalizzazione dei vari prodotti (non solo quelli postali), ma è bene tener conto del principio grazie al quale tutto ciò è accaduto, e fare tesoro del principio stesso come mezzo di unione e vicinanza tra le persone.
Si pensi, solo per citare un esempio attuale, a Matteo, giovane postino Campano a Bergamo, che ha percorso le strade, nei giorni dell’emergenza e del contagio, dicendo: «Mai come ora, sento di fare un mestiere utile agli altri. In questi giorni mi accorgo di come le persone reagiscano con buon umore, non appena vedono la nostra divisa e i nostri mezzi». Sono migliaia quelli che nel tempo dei virus e delle guerre, hanno attraversato le città, per fare il proprio lavoro in tutti i territori di frontiera, nelle strade in cui ogni serranda è abbassata, ogni luce spenta, ogni negozio chiuso. Matteo, postino 29enne, racconta che ogni giorno svolge le sue ore di turno pensando di essere non solo un servizio, ma anche un messaggio per chi è stato costretto a stare a casa durante il Covid19, e per chi, come nell’attuale scenario di crisi in Ucraina, è costretto a non poter vivere liberamente la propria quotidianità: «La gente ragiona così e ti dice “quando vedo il postino girare, provo come un sollievo, assistendo ad una scena di vita normale”». Vero!
Durante la Prima guerra mondiale le Poste tennero unita l’Italia nei modi più disparati: in furgone, in mulo, in alcuni casi persino in slitta, per traversare l’ostacolo della neve. Due miliardi e mezzo di cartoline attraversarono il Paese (ed è un numero incredibile, ma persino leggermente sottostimato) accompagnate da una obliterazione aggiuntiva: “Verificato per censura”. Non si potevano citare i luoghi e le date, perché non si poteva rischiare di dare informazioni al nemico: occhi attenti vagliavano la corrispondenza. Questo creò una letteratura fantastica di trovate e di stratagemmi, dai codici cifrati all’inchiostro simpatico. Il filo delle spedizioni, quando si cala nella storia, si attorciglia intorno alle difficoltà dei tempi, aderisce ai problemi, senza mai spezzarsi. Cercando negli archivi della Grande Guerra ci imbattiamo nell’escamotage commovente del figlio che per raccontare al padre la località dove si trovava di stanza con il suo reggimento gli scrive:”Lo metto sotto il bollo”. La Grande Guerra, fra le altre cose, produsse i “PCP” (pacchi a prezzo calmierato). Potevi spedire un pacco a tariffa speciale, cioè, se restavi sotto un rigoroso standard, un chilo e mezzo di peso. Fu in questo modo che, da e per le zone di guerra partirono nove milioni di pacchi pieni di ogni ben di Dio: generi di conforto, cibo e calze pesanti per proteggersi dal freddo.
Nei tempi più moderni, considerando le dinamiche vissute a seguito del virus, riti antichissimi sono tornati attuali, idee futuristiche e postmoderne sono invecchiate in un istante, persino i telefonini si devono spegnere nelle terapie intensive, e i contatti umani vengono banditi dalle quarantene. Milioni di italiani chiusi nelle loro case, e migliaia di reclusi delle varie guerre nelle varie epoche, hanno riscoperto il piacere e la necessità di spedire per corrispondenza, perchè di necessità si fa virtù. Morale della favola: Sei confinato, ma la tua corrispondenza non ha confini!
Dott. Stefano Fiorillo UniPoste Team
Dott. Stefano Fiorillo UniPoste Team