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Madri lavoratrici nel ciclone della pandemia

by admin
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Il New York Times si è recentemente dedicato, tramite la stesura di diversi articoli, al complesso status delle madri lavoratrici nell’emergenza pandemica.

In realtà i media di tutto il mondo hanno dato risalto a un dilemma di lunga data, ma illuminato in questo periodo per via delle mutate condizioni imposte dalla diffusione della COVID-19.

L’emergenza che ha travolto le famiglie italiane, ha visto diversi studi confermare come nei mesi di lockdown a occuparsi della casa e dei figli siano state soprattutto le donne. In quarantena, tra smart working e figli, l’impegno dentro casa, che già prima era gravoso, si è appesantito notevolmente, mettendo ancora più in risalto lo stereotipo di genere, ancora fortissimo in Italia, che assegna alle donne ruoli e compiti familiari e che mette in evidenza l’esigenza di ridiscutere i ruoli all’interno della famiglia.

Il peso della gestione familiare di tale emergenza si è scaricato soprattutto sulle donne, e le madri lavoratrici, in particolar modo, che hanno sperimentato gravi ripercussioni sulle proprie situazioni lavorative e di salute psicofisiche.

Circa 5,4 milioni le madri (su 9 milioni e 872mila donne occupate in Italia) e, di queste, 3 milioni hanno almeno un figlio con meno di 15 anni. E con le scuole chiuse e la non reperibilità di una baby sitter (oltre ai costi di questa) è, sempre o quasi, la madre a restare a casa.

Già in passato, l’Istituto Superiore di Sanità, in merito all’impatto dell’emergenza sulla salute psicofisica, sottolineava alcune conseguenze del lockdown, durante il quale la popolazione femminile, in particolare, aveva sperimentato un aumento dei livelli di ansia, depressione e sintomi correlati allo stress.

Alla base del fenomeno concorre un duplice meccanismo i cui due elementi si rafforzano a vicenda, creando quelle che gli studiosi, con una metafora molto efficace, chiamano “gabbie di genere”.

La cultura, ancora impregnata di stereotipi maschilisti e patriarcali, radica convinzioni tali che dalle donne si pretenda continuamente un impegno, un carico mentale maggiore rispetto a quello degli uomini, basandosi su miti infondati, come quello della propensione delle donne a essere per natura e senza alcuno sforzo multitasking.

Il condizionamento esterno si trasforma poi facilmente in autocondizionamento, per cui sono molte, in effetti, le donne interiormente convinte che occuparsi di tutto senza riposarsi mai, e rimediare improrogabilmente anche alle negligenze altrui, sia di loro specifica competenza, senza alcuna possibilità di delegarne i compiti.

Dobbiamo puntare che le rilevazioni, nazionali e internazionali, siano da spunto costruttivo per dare il via ad una serie di provvedimenti concreti che si tramutino in svolta sostanziale con un cambiamento sociale profondo, nel quale l’educazione familiare e l’istruzione scolastica svolgono un ruolo sostanziale. 

Perché serve qualcosa di più… serve attivare un cambiamento ma credendoci sul serio. Perché ciò che c’è in gioco non è un dettaglio secondario: se si permette che il lavoro torni a essere “cosa da uomini” l’Italia rischia di compiere 100 passi indietro e questo sarebbe davvero pericoloso e irrimediabile.

Rendendo milioni di cittadine più povere. Ma soprattutto, più infelici.

Dott. ssa Annalisa Botti

Annalisa Botti

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