Come è riportato nella Dichiarazione di Kandersteg (2007): «… Tutti i bambini e i giovani hanno il diritto al rispetto e a un’esistenza in condizioni di sicurezza. Il bullismo è una violazione di questo fondamentale diritto. È responsabilità morale degli adulti assicurare che questo diritto sia rispettato e che per tutti i bambini e per tutti i giovani siano effettivamente promossi uno sviluppo sano e l’esercizio della cittadinanza attiva».
Il bullismo è un malessere sociale fortemente diffuso, sinonimo di un disagio relazionale che si manifesta soprattutto tra adolescenti, ma sicuramente non circoscritto a nessuna categoria né sociale, né tantomeno anagrafica. Il termine bullismo non indica qualsiasi comportamento aggressivo o comunque gravemente scorretto nei confronti di uno o più, ma precisamente “un insieme di comportamenti verbali, fisici e psicologici reiterati nel tempo, posti in essere da un individuo o da un gruppo di individui nei confronti di individui più deboli” (Guarino, Lancellotti, Serantoni, 2011).
Alcune caratteristiche distintive sono:
- INTENZIONALITA’: il comportamento non è frutto di un’azione impulsiva legata ad un momento di rabbia, ma un atto premeditato, finalizzato ad arrecare un danno alla vittima, sia con mezzi fisici o verbali, sia attraverso forme di isolamento o di rifiuto sociale;
- PERSISTENZA NEL TEMPO: i comportamenti aggressivi si ripetono nel tempo più e più volte;
- ASIMMETRIA DI POTERE: la relazione tra i due attori principali, il bullo e la vittima, è fondata sul disequilibrio e sulla disuguaglianza di forza tra i due;
- NATURA GRUPPALE: questi comportamenti non riguardano solo il bullo e la vittima, ma nella maggioranza dei casi avvengono alla presenza dei compagni (difensori, complici o spettatori).
Sulla base della precedente definizione sono stati individuati alcuni ruoli principali che i soggetti possono agire in un contesto di prepotenza. Per una maggiore comprensione del problema cercherò ora di tracciare un profilo psicologico e relazionale di ciascun ruolo.
Il bullo, secondo Olweus (1993), è caratterizzato da un comportamento aggressivo verso i coetanei e verso gli adulti, sia genitori che insegnanti. Ha un atteggiamento positivo verso la violenza e mostra scarsa empatia per la vittima. I bulli sono spesso connotati da un forte bisogno di dominare gli altri.
La vittima è solitamente più ansiosa ed insicura, se attaccata reagisce piangendo e chiudendosi in se stessa. Soffre spesso di scarsa autostima ed ha un’opinione negativa di sé e delle proprie competenze.
Il bullismo si può manifestare in diverse forme; si può distinguere innanzitutto tra prepotenze dirette e indirette: le prime sono manifestazioni più aperte e visibili di prevaricazione nei confronti della vittima e possono essere sia di tipo fisico che verbale. Le prepotenze indirette, invece, sono più nascoste e, per questo, più difficilmente rilevabili; gli esempi più frequenti sono l’esclusione sociale, i pettegolezzi e la diffusione di calunnie sui compagni. Inoltre, tra i comportamenti di bullismo diretto di tipo fisico si possono rintracciare anche il furto o il danneggiamento volontario delle cose altrui. Tra le tipologie di attacco indiretto, una forma attuale è il cyberbullismo o bullismo nel contesto virtuale, cioè mediato dalle nuove tecnologie, quali internet, i social network e i cellulari. La natura mediatica del cyberbullismo comporta alcune differenze rispetto al bullismo tradizionale; innanzitutto l’intrusività dell’attacco non è circoscritto al solo tempo scuola, ma prevede anche spazi e tempi privati, l’impatto comunicativo dell’azione non è ristretto solo al gruppo classe, ma ha come riferimento il villaggio globale, inoltre l’anonimato del bullo gli permette di agire segretamente e riduce il suo senso di responsabilità nei confronti della vittima. Attraverso la tecnologia i bulli hanno la possibilità di infiltrarsi nelle case delle vittime e di materializzarsi in ogni momento della loro vita, perseguitandole con messaggi, immagini, video offensivi inviati tramite smartphone o pubblicati sui siti web.
Il bullismo e il cyberbullismo sembrano essere un’esperienza quotidiana per troppi giovani: il 68% di loro dichiara di aver assistito ad alcuni episodi, mentre ne è vittima il 61%. Numeri senz’altro allarmanti!
In quanto fenomeno e malessere sociale, deve essere individuato e affrontato e non può essere considerato frutto di “patologie individuali”, ma potremo definirlo una “patologia delle relazioni” e, come tale, va affrontato attraverso interventi psico-educativi volti a creare un clima di convivenza positiva e di rispetto tra ragazzi e tra insegnanti e ragazzi. Deve essere individuato nei singoli contesti educativi portando allo scoperto le situazioni nascoste e fermando gli episodi nel preciso momento in cui si manifestano e, successivamente, cercando di capirne le cause in modo da evitare episodi futuri. È sempre più importante creare un sistema di misure sociali che stimolino e favoriscano la cultura del rispetto, la cultura del raccontare ciò che accade in un clima di chiarezza e fermezza che consideri i “prepotenti” come persone da aiutare, oltre che da fermare così da assicurare ai nostri figli o alunni un ambiente sicuro in cui possano crescere, imparando a fronteggiare e gestire la complessità e le difficoltà della vita. La strategia migliore per combattere il bullismo è la prevenzione, alla base della quale c’è la promozione di un clima culturale, sociale ed emotivo in grado di scoraggiare sul nascere i comportamenti di prevaricazione e prepotenza. La scuola è il primo luogo di relazioni sociali per i bambini e, in virtù del suo ruolo educativo, ha la responsabilità di farsi portavoce di alcuni valori che possano aiutare a prevenire il bullismo, come promuovere la conoscenza reciproca, favorire l’autostima dei ragazzi, insegnare l’apertura verso la diversità e il rispetto degli altri, insegnare ad affrontare i conflitti invece di negarli, spiegare l’importanza del rispetto di regole di convivenza condivise. Di estrema importanza in un percorso anti-bullismo è il lavoro sull’empatia e la consapevolezza emotiva degli alunni, in quanto è teso a promuovere relazioni positive in classe e a favorire un clima in cui i fenomeni di prevaricazione non trovano terreno fertile. L’empatia è stata definita in molti modi, ma si riferisce in generale alle reazioni di un individuo alle esperienze emotive di un altro. Pensando al fenomeno del bullismo, possiamo ipotizzare che il potenziamento della consapevolezza emotiva e della capacità empatica dei ragazzi possa avere effetti positivi su diversi attori. Infatti i bulli, che legittimano il proprio comportamento aggressivo autoassolvendosi da sentimenti di colpa e negando una sofferenza emotiva ed affettiva nella vittima, potrebbero sicuramente beneficiare di un simile percorso. Tuttavia possiamo espandere il nostro campo visivo anche ai non-protagonisti, in quanto hanno un ruolo importante nel mantenere o ridurre il problema e lo sviluppo della capacità empatica potrebbe “far sentire” agli spettatori la sofferenza della vittima e stimolare la manifestazione di comportamenti pro sociali e di aiuto da parte della cosiddetta “maggioranza silenziosa”.
In ultima analisi, concluderei considerando che il bullismo a scuola è attualmente una piaga sociale molto rilevante che può avere conseguenze gravi per i partecipanti non solo sul momento, ma anche nel lungo periodo. Le conseguenze del bullismo sono notevoli, a volte, purtroppo, irreparabili: il danno per l’autostima della vittima si mantiene nel tempo e induce la persona a perdere fiducia nelle istituzioni sociali come la scuola, oppure alcune vittime diventano a loro volta aggressori sui più deboli. Il bullismo, come detto, non è un problema solo per la vittima, ma va oltre l’individuo oppressore ed oppresso, in quanto il clima di tensione che si instaura va a influenzare la famiglia, la scuola e le altre istituzioni sociali, nonché il futuro stesso della persona e della società nel suo complesso. Cerchiamo di fermare tutto questo, per un futuro dei giovani e dei meno giovani più armonioso e pieno di sogni.